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Quando nel 1921 inizia a lavorare a quello che sarà il suo capolavoro Jaroslav Hasek ha alle spalle cinque anni di vita militare e un ventennio di attività giornalistico-letteraria: una solida base grazie a cui può dare corpo a un romanzo esilarante che è l'affresco storico di un'epoca percepita come insensata anche da chi la viveva, pazzia e idiozia infatti sono temi cruciali che percorrono l'intera vicenda di Svejk, un tipo umano nuovo nella letteratura mondiale, così come completamente nuovo era per l'epoca lo stile espressionista e plurilinguistico di Hasek, dagli effetti dirompenti - qui resi con efficacia dalla traduzione di Annalisa Cosentino, dall'approccio disinibito e attualizzante, Soldato semplice dell'esercito asburgico poi riformato per malattia mentale, Svejk racconta "dal basso" la Grande Guerra; il suo nemico non è perciò l'esercito avversario ma la casta degli ufficiali, "Nella quantità di opere sulla Grande Guerra" ha scritto Luigi Reitani "al capolavoro di Hasek spetta ancor oggi un'importanza centrale, vittima innocente di quella follia a lui superiore che viene chiamata Storia - ma al tempo stesso inesauribile narratore in prima persona di storie che mostrano l'infinita follia del mondo - Svejk è davvero il grande Gian Burrasca del Novecento, a cui va la nostra eterna simpatia."